Rocca Pallavicino


[…] Nel tempo medesimo Giovanni de’ Medici il quale, benché condotto a soldi di Francesco Sforza si fosse mosso per andare a Milano ove era aspettato con sommo desiderio per la espettazione grande che si aveva della sua ferocia, non di meno stimolato dagli stipendi maggiori e più certi del re di Francia e allegando, per colore della sua cupidità il non essere stati mandati i danari promessi da Milano, del parmigiano, ove aveva saccheggiato la terra di Busseto perché ricusava di alloggiarlo, passò nel campo de’ Franzesi […]

(Allo stesso tempo Giovanni de’ Medici benché assoldato da Francesco Sforza, e per questo si fosse mosso per andare a Milano dove lo si aspettava con impazienza in virtù della fama di feroce combattente che lo circondava, non di meno era allettato dal “soldo” maggiore e più sicuro offertogli dal re di Francia e adducendo a pretesto il non aver ricevuto da Milano la paga promessa, dalle terre intorno a Parma, in cui aveva saccheggiata Busseto che si era rifiutata di alloggiare lui e le sue truppe mercenarie, passò dalla parte dei francesi).

Francesco Guicciardini – Storia d’Italia (Libro 14, cap, 13)

Non vi è nulla, a guardarla la Rocca di Busseto, che ci faccia immaginare lo scalpiccio di pesanti cavalli da guerra, le urla di soldati di ventura e lo sventolare di insegne di eserciti, di fazioni o bande di irregolari. Nulla che richiami l’arte della guerra o il “mestiere delle armi” come amavano chiamare quelle incessanti lotte senza quartiere al riparo di merli guelfi o ghibellini, imperatori, re, duchi, vescovi e papi. La Rocca di Busseto, lo vediamo, si affaccia sulla bella piazza, ampia, ariosa e accogliente.

Difficile oggi immaginare che quella Rocca che oggi ci appare come prezioso, lezioso, palazzo signorile, a seguito della ristrutturazione in stile neogotico affidata all’architetto parmigiano Pier Luigi Montecchini tra il 1857 ed il 1868 con bifore, lesene, formelle e medaglioni rinascimentali in terracotta incastonate nel prospetto ed il grande orologio della torre, sia stata in realtà, e per secoli, al centro di sanguinosi scontri di potere tra papato e impero, tra spagnoli e francesi, tra signorie italiane – i Visconti, i Medici, tra gli altri – e guardata con cupidigia da capitani di ventura il cui solo nome, Niccolo Piccinino e Giovanni dalle Bande Nere, faceva tremare la terra.

Una storia, quella della Rocca, di assalti e saccheggi, ricostruzioni e distruzioni, alleanze e tradimenti senza sosta. Basterà scoprire che già nel 985 una fortificazione era stata eretta in questo punto e, una volta consolidata, attaccata e distrutta nel 1216 da truppe piacentine e milanesi proprio per timore del suo ruolo strategico; e che pochi anni dopo, nel 1249 Federico II di Svevia, l’imperatore, pose di fatto, attraverso il marchese Oberto II Pallavicino da lui investito del feudo, la prima pietra di un nuovo, possente castello interamente circondato da cinta murarie e da un fossato con tanto di ponte levatoio. Un luogo di sanguinosi scontri, ma anche di politica alta: qui si tenne nel 1543 l’incontro – il terzo – tra Papa Paolo III e Carlo V d’Asburgo per definire l’apertura di un concilio ecumenico che avrebbe dovuto riportare la pace e sistemare definitivamente l’assetto geopolitico europeo. La Rocca passò, come era tipico del tempo, di mano in mano per eredità di sangue. Fu cuore dello Stato Pallavicino, feudo imperiale incuneato tra i possedimenti pontifici e il territorio di Cremona e del ducato di Milano poi, estinta la dinastia, fu annessa con il suo contado nel 1588 al ducato di Parma e Piacenza da Alessandro Farnese il generale, nipote dell’altro Alessandro Farnese, Papa Paolo III; e infine ceduta al Comune di Busseto, dalla Camera Ducale di Parma, nel 1856.
Aveva già al suo interno un teatro di corte, sede di “accademie” letterarie e musicali. Proprio nel teatro Pallavicino si udirono le prime composizioni del Maestro Verdi: divertimenti, sinfonie, duetti, composizioni strumentali e per cantanti commissionate dai Filarmonici di Busseto. Con i lavori di restauro della Rocca, il progetto di costruire un nuovo teatro nello spazio del pre-esistente (idea che circolava a Busseto già dal 1845), finalmente prese avvio. I lavori iniziarono nel 1856 per completarsi, nonostante il parere contrario del Maestro Verdi indispettito dal progetto “di troppa spesa e inutile nell’avvenire”, nel 1868. Alla solenne inaugurazione – il Maestro assente a rimarcare il suo punto di vista – furono messe in scena due opere: Un ballo in maschera e Rigoletto. Raramente il Maestro Verdi si è sbagliato nelle sue intuizioni e “profezie” nei vari campi, dalla musica alla politica, dalla cura dei campi e degli animali al soppesare il valore delle persone; ma non è questo un caso da citare. Il Teatro Giuseppe Verdi, unico teatro attivo nelle rocche e nei castelli del ducato di Parma e Piacenza, è quanto mai vitale e “utile”, fulcro della vita culturale della comunità locale per tutto l’anno, richiama a Busseto, in occasione del Festival Verdi, migliaia di appassionati italiani e soprattutto stranieri. In questo caso si, possiamo dirlo senza timore, il Maestro si sbagliò.